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Lo sviluppo globale: un mito da sfatare

La favola dello sviluppo globale

“L’arco della storia si piega verso la giustizia” disse Martin Luter King, “ma non lo farà spontaneamente”.

Il mondo, come sappiamo, è da sempre suddiviso tra ricchi e poveri e nel corso della storia si è cercato di affrontare questo problema attraverso le cosìdette politiche di sviluppo.

Oggi, però, circa 4,3 miliardi di persone vivono ancora in condizione di povertà debilitante, sopravvivendo con meno di 5 euro al giorno. E allo stesso tempo, i ricchi continuano ad accumulare ricchezze mai viste prima.

Per tracciare i contorni della disuguaglianza che pervade il mondo (disuguaglianza globale) si può osservare la distribuzione del reddito e della ricchezza fra gli individui, ma possiamo anche ottenere un’immagine più nitida andando a guardare la frattura tra le diverse regioni del mondo:

Nel 2000 gli statunitensi avevano un reddito medio 9 volte più alto dei latinoamericani, 21 volte di quello mediorientali e nordafricani, 52 volte quello dell’Africa subshariana e 73 di quello dell’Asia meridionale.

A un certo punto della storia ci si iniziò a chiedere, come mai i popoli del cosìdetto terzo mondo fossero sempre più poveri e quelli dei paesi sviluppati invece sempre più ricchi, anche dopo l’attuazione di politiche di sviluppo promesse da politici di tutto il mondo, dopo tutte le azioni di beneficenza e dopo tutti i programmi messi in atto dai microcrediti.

A queste domande fu risposto con una storia che vede fornire un comodo alibi che permette i paesi più sviluppati di non assumersi la colpa per lo stato della miseria delle loro ex colonie. Questa storia, come andremo a vedere, è ben diversa dalla realtà che ci circonda.

Gli antropologi ci dicono che quando la struttura di un mito fondante inizia a cambiare, tutto il resto della società cambia intorno ad esso e si aprono nuove prospettive. Quando i miti crollano, scoppiano le rivoluzioni.

E noi oggi andiamo a demolire il mito dello sviluppo globale

Tutto iniziò da una trovata di pubbliche relazioni…

Nel 1949, precisamente il 20 gennaio Harry Truman, 33° presidente degli Stati Uniti d’America, sarebbe dovuto salire su un palco per il suo discorso di insediamento e voleva tirar fuori dal cilindro un argomento ambizioso e interessante. Le idee in ballo, però, erano a dir poco noiose e probabilmente i mezzi di informazione avrebbero ignorato il discorso. Bisognava trovare quindi qualcosa che smuovesse il sentimento della nazione.

La soluzione arrivò da Benjamin Hardy, un giovane funzionario del governo di stato, che propose un’idea originale, un’ulteriore punto da aggiungere al discorso: LO SVILUPPO.

Truman annunciando questo punto, ossia che la sua amministrazione avrebbe fornito aiuti ai paesi del terzo mondo per favorirne lo sviluppo e porre fine a una miseria straziante, avrebbe ottenuto, in modo semplice, il massimo impatto psicologico sull’America, cavalcando l’onda della SPERANZA.

Quello di Truman fu il primo discorso di insediamento della storia a essere trasmesso in televisione e fu seguito da 10 milioni di telespettatori e la gente sostenne il discorso di Truman in cui affermò che:

  • Più della metà della popolazione mondiale, per fattori naturali, viveva in condizioni prossime alla miseria, con alimentazione inadeguata, vita economica primitiva e vittime di malattie.
  • L’uomo, per la prima volta nella storia, ha una conoscenza e una capacità in grado di alleviare queste sofferenze in quanto gli Stati Uniti erano al primo posto fra le nazioni per sviluppo di tecniche industriali e scientifiche.
  • Bisognava intraprendere un programma nuovo e audace per mettere i benefici delle scoperte scientifiche americane a disposizione del miglioramento e della crescita delle aree sottosviluppate, con il fine di raggiungere finalmente la pace.

Naturalmente non vi era nessun piano effettivo per un programma del genere. Tutto ciò servì solo per far impazzire i media e creare empatia con il popolo americano e funzionò.

La questione dello sviluppo globale catturò l’immaginazione del pubblico. Ma la domanda è perché?

Dopo la seconda guerra mondiale vediamo una situazione che cominciava ad assestarsi, ossia l’imperialismo europeo era al collasso ma vi erano enormi differenze di potere e ricchezza, dato che i paesi del Nord godevano di uno stile di vita molto elevata rispetto a quelli del Sud, intrappolati in una povertà debilitante.

Così appena gli americani si resero conto della brutale realtà della disuguaglianza mondiale al di fuori dei loro confini, sentirono il bisogno di dare un senso a tutto questo.

Truman, quindi, offrì agli americani una narrazione accattivante per inquadrare l’ordine internazionale che stava emergendo:

  • I paesi ricchi dell’Europa e del Nordamerica erano “sviluppati” e riuscivano a ottenere risultati migliori perché più intelligenti, più innovativi e più operosi con valori, istituzioni e tecnologie migliori.
  • I paesi del Sud del mondo, invece, erano poveri perché non avevano scoperto i giusti valori e le giuste politiche; erano ancora indietro, “sottosviluppati” e non riuscivano a colmare il divario, e ovviamente necessitavano dell’aiuto dei “fratelli” del Nord

Tutto questo offriva all’Europa e all’America un’immagine lusinghiera tanto da farli sentire orgogliosi dei propri risultati. Offriva loro un modo per nobilitarsi, per accedere a uno scopo quasi superiore: fari di speranza e ancore di salvezza per i paesi poveri.

Questo discorso, quindi, oltre a offrire una spiegazione soddisfacente della disuguaglianza globale, ne offriva anche la soluzione, i paesi ricchi avrebbero offerto generosamente una parte delle loro ricchezze.

Per questo motivo venne ripreso anche dai governi dell’Europa occidentale. Ora che Gran Bretagna e Francia stavano abbandonando le colonie, serviva loro una spiegazione per giustificare l’enorme disuguaglianza che persisteva fra loro e le popolazioni che avevano governato.

Questa storia dello sviluppo fornì così un comodo alibi, declinando ai paesi ricchi la responsabilità della miseria di questi paesi, cambiando il punto di vista del mondo sulle potenze coloniali: sarebbero diventate benefattrici dell’umanità.

Tutto ciò sembra possedere tutti gli elementi di un mito epico: fornire alle persone una chiave di volta per organizzare le idee sul mondo e il progresso\ futuro dell’umanità.

La storia dello sviluppo è diventata un’enorme industria, un vero e proprio business, che vale più di tutti i profitti di tutte le banche degli Stati Uniti messi assieme. La si incontra ovunque, ad esempio, negli spot televisivi della World Vision, nei rapporti annuali pubblicati dalla banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale e ogni volta che guardiamo la classifica delle nazioni del mondo in base al Pil. Tutte le più importanti Università offrono corsi di laurea sullo sviluppo creando un’intera categoria di professionisti.

PROGRESSI ILLUSORI DELLO SVILUPPO

Verso la fine di un mito

Questa storia racconta che grazie agli aiuti generosi dei paesi ricchi si sono fatti passi da giganti nella lotta contro la povertà nel mondo. Questo racconto ha ispirato la gente per molti anni, fino a che la massa iniziò a non credere più a questi aiuti, perdendo l’entusiasmo.

Secondo dei sondaggi, le persone iniziarono ad avere l’impressione che questi sforzi per eliminare la povertà in realtà non funzionavano, aumentando così il loro scetticismo su quanto riguarda l’efficacia di questi aiuti e le iniziative di sviluppo a livello mondiale.

Certo vi erano stati dei miglioramenti, come la mortalità infantile e materna. Ad esempio il numero dei bambini che muoiono per cause prevenibile è sceso vertiginosamente, dai 17 milioni del 1990 ai neanche 8 milioni del 2013.

L’industria dello sviluppo, con questi miglioramenti, voleva far credere che il tutto sanciva il successo complessivo del progetto dello sviluppo. L’opinione pubblica, però, smise di crederci. L’industria pur se con qualche piccola vittoria aveva fallito agli occhi della gente che ormai si chiedeva il perché del continuare a erogare grandi somme di denaro senza nessun risultato.

Osservando attentamente possiamo dire che l’opinione pubblica non aveva tutti i torti. Infatti:

Nel 1974, il segretario dello stato americano Henry Kissinger promise che la fame sarebbe stata debellata entro un decennio. All’epoca vi erano 460 milioni di persone che ne soffrivano. Ma invece di scomparire la fame è andata aumentando sempre di più: oggi, secondo le stime più prudenti, ci sono circa 800 milioni di persone del mondo che patiscono la fame; se prendiamo stime più realistiche parliamo di circa 2 miliardi di persone, quasi un terzo dell’umanità. Difficile da crederci dato che ogni anno produciamo una quantità di cibo più che sufficiente a sfamare tutti i 7 miliardi di abitanti del pianeta.

Altro esempio oltre la fame è la povertà, in quanto da molti anni l’industria dello sviluppo ci dice che la povertà assoluta è in declino costante. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno pubblicato il rapporto finale sugli Obiettivi di sviluppo del millennio, in cui era sostenuto che dal 1990 il tasso di povertà era stato dimezzato. Questa versione è pero molto fuorviante per 2 ragioni.

La maggior parte dei progressi nella lotta alla povertà riguarda un solo paese, la Cina.

I parametri usati per misurare i progressi, in quanto se prendessimo come parametri dei numeri assoluti si può notare che la diffusione della povertà è sempre la stessa del 1981. Questo, solo prendendo in considerazione la soglia di povertà più bassa, ossia coloro che sopravvivono con meno di 1 dollaro al giorno (studiosi affermano che gli esseri umani hanno bisogno di circa quattro volte di più della soglia indicata per sopravvivere almeno fino al quinto anno di vita).

E cosa succederebbe se misurassimo la povertà globale secondo parametri e soglie più realistiche? Il risultato sarebbe che il totale della povertà salirebbe a 4,3 miliardi di persone. Il quadruplo di più di quello che le Nazioni Unite vorrebbero far credere. Oltre il 60 % dell’umanità.

In realtà la povertà è peggiorata!

La realtà dei fatti

La storia di Truman sulla disuguaglianza globale, negli anni ’50 e ‘60 del secolo scorso, divenne per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, un’arma per le loro politiche estere.

Vi era un problema, che nel frattempo nel Sud del mondo avanzavano idee progressiste all’indomani del colonialismo e i leader dei nuovi paesi indipendenti si rifiutavano di accettare la storia di Truman, attingendo alle idee di pensatori come Karl Marx, Aimè Cèsaire e il Mahatma Ghandi, evidenziarono che il sottosviluppo del sud del mondo non era una condizione naturale, ma una conseguenza del modo in cui le potenze occidentali avevano organizzato il sistema mondiale per secoli. Era un periodo in cui si chiedeva giustizia come condizione imprescindibile di sviluppo.

Tutto ciò agli occhi degli occidentali, doveva essere fermato, in quanto avrebbe minato il loro predominio economico. Nel 1960, l’economista americano Walt Whitman Rostow pubblicò la teoria che sosteneva che il “sottosviluppo” non aveva niente a che fare con il colonialismo o l’imperialismo, ma derivava da problemi interni (politica interna), portando avanti la teoria che se i paesi volevano svilupparsi dovevano solo accettare gli aiuti e i consigli degli occidentali e implementare politiche di libero mercato (“gli stadi dello sviluppo economico”).

La guerra tra il sud e il nord del mondo

Negli anni ‘60 e ‘70 il governo americano divulgò la teoria di Rostow in tutto il Sud del mondo come strategia di contenimento. Trasformando la storia dello sviluppo in un esercizio di pubbliche relazioni indirizzata a tutto il mondo.

Questa storia, però, non funzionò in quanto in tutto il sud del mondo, i paesi di nuova indipendenza ignoravano i consigli degli Stati Uniti e portarono avanti i loro programmi di sviluppo. Costruirono la propria economia attraverso politiche protezionistiche e redistributive. Tutto questo funzionò. D’altronde stavano usando le stesse identiche politiche usate dai paesi occidentali durante i loro periodi di consolidamento economico.

Tutto ciò iniziò a minare i profitti delle grandi aziende occidentali e la loro possibilità di avere accesso alla manodopera e risorse di buon mercato.

L’Occidente reagì in segreto attraverso colpi di stato, rovesciando decine di leader eletti democraticamente nei paesi del sud e sostituiti da dittatori sensibili agli interessi economici occidentali.

Malgrado questi attacchi, il sud continuava a crescere d’importanza e battersi per la giustizia economica, ossia per un ordine internazionale più equo, e ci stavano riuscendo. Con queste nuove regole della democrazia globale il Nord sembrava impotente di fronte all’ascesa del Sud.

Nei primi anni 80, la situazione però cambiò: gli Stati Uniti e l’Europa occidentale scoprirono che potevano usare il loro potere di creditori per dettare le politiche economiche ai paesi indebitati del terzo mondo, governandoli efficacemente a distanza senza spargimenti di sangue. Facendo leva sul debito imposero dei “programmi di aggiustamento strutturale” che annullarono tutte le riforme economiche che i paesi del sud avevano messo in atto.

I programmi di aggiustamento strutturale

L’aggiustamento strutturale è una forma di terapia d’urto a stampo liberista (implementati dal Fondo monetario internazionale (FMI) e dalla banca mondiale), spacciato come una precondizione necessaria per un effettivo sviluppo del Sud del mondo. Questo però finì per fare esattamente il contrario:

  • le economie si sono contratte;
  • i redditi sono crollati;
  • milioni di persone sono state espropriate dalle loro terre;
  • tasso di povertà è schizzato alle stelle.

Mentre l’aggiustamento strutturale continuava a causare la povertà del sud del mondo, a metà degli anni ‘90 emerse un nuovo sistema per governare l’economia internazionale: secondo questo, il potere era determinato dalle dimensioni di mercato e i paesi ricchi del nord erano nelle condizioni di portare avanti politiche conformi ai loro interessi, danneggiando palesemente gli interessi del sud.

Ad esempio: i paesi del Terzo mondo dovevano abolire i sussidi all’agricoltura, mentre Stati Uniti e l’Unione Europea continuavano a erogarli ai loro agricoltori, mettendo i Paesi del sud nelle condizioni di sottrarre quote di mercato ai loro contadini, proprio nel settore in cui teoricamente avrebbero goduto di un vantaggio competitivo naturale. Si stima che squilibri di potere come questi siano costati ai paesi poveri circa 700 miliardi di dollari l’anno in mancati ricavi da esportazioni.

Il problema non è che i paesi poveri hanno difficoltà a svilupparsi, ma che si stia facendo di tutto per impedirglielo. La povertà è stata creata.

Il paradigma della beneficenza

L’idea con la quale venne portata avanti questa storia dello sviluppo fa perno sui fondi destinati agli aiuti. Dopo Truman, l’economista americano Jeffrey Sachs, ex direttore degli Obiettivi di sviluppo del millennio, espose una tesi nel suo bestseller del 2005 “La fine della povertà” dove affermava che i paesi poveri continuavano ad essere poveri per colpa di nessuno, ma era dovuta solo a casualità naturali legate alla geografia e al clima.

Sachs, a questo punto, fa entrare in gioco gli aiuti dei paesi ricchi, ossia se fossero aumentati gli aiuti nei paesi in via di sviluppo portandoli allo 0,7% del Pil, la povertà sarebbe stata debellata nel giro di vent’anni. In quanto, se i paesi poveri avessero avuto denaro a sufficienza per pagare le tecnologie agricole essenziali, assistenza sanitaria di base, acqua potabile, istruzione primaria ed elettricità, sarebbero riusciti a salire la scala dello sviluppo.

L’idea di Sachs ridiede slancio alla narrazione degli aiuti ai paesi poveri, vedendo i paesi ricchi del mondo incrementare di conseguenza gli stanziamenti per gli aiuti.

Questa narrazione degli aiuti distolse lo sguardo dell’opinione pubblica dalla considerazione che le potenze occidentali fossero state le responsabili delle sofferenze del sud del mondo.

Ma se osserviamo più da vicino, notiamo che anche questo aspetto della storia dello sviluppo ha dell’incoerenza.

Questi aiuti di cui parliamo, che ammontano a 128 miliardi di dollari circa, non è che non esistono, esistono. Ma allargando lo sguardo notiamo anche che le risorse finanziarie che scorrono dalla direzione opposta sono enormemente superiori.

In che senso?

Nel 2016, la Global Financial Integrity (ONG americana), insieme al centro di ricerca applicata della Norwegian School of Economics, ha pubblicato vari dati che permettono di cambiare la nostra prospettiva. Hanno calcolato tutte le risorse finanziarie trasferite ogni anno fra paesi ricchi e paesi poveri, non solo aiuti come ritroviamo nelle analisi precedenti, ma hanno calcolato anche altri tipi di trasferimenti, come: remissione del debito, rimesse degli emigranti e fughe di capitali. Il risultato è che nel 2012:

  • i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto poco più di 2000 miliardi di dollari;
  • nello stesso anno, più del doppio della cifra, come 5000 miliardi di dollari circa, ha seguito il percorso inverso.

In pratica i paesi in via di sviluppo hanno inviato al resto del mondo 3000 miliardi in più rispetto a quello che hanno ricevuto.

Se osserviamo tutti gli anni a partire dal 1980 questi deflussi netti raggiungono lo sconvolgente totale di 26 500 miliardi di dollari ( sono all’incirca il Pil dell’America e dell’Europa messi insieme).

Questi deflussi consistono in:

  • pagamenti di interessi sul debito,
  • reddito che gli stranieri dei paesi ricchi incassano dai loro investimenti nei paesi in via di sviluppo e che riportano in patria (pensate solo ai profitti che ricava la Shell dalle riserve petrolifere in Nigeria);
  • fughe di capitali, dove la Global Financial Integrity calcola che dal 1980 i paesi in via di sviluppo hanno perso per questo 23600 miliardi di dollari. Fughe di capitali attraverso: dispersioni nella bilancia dei pagamenti e false fatturazioni commerciali.

In pratica per ogni dollaro di aiuti che ricevono, i paesi in via di sviluppo ne perdono ventiquattro in deflussi netti.

Dal rapporto della Global Financial Integrity emerge che nei paesi in via di sviluppo, questi deflussi netti crescenti causano un declino dei tassi di crescita economica e sono direttamente responsabili del calo del tenore di vita.

In pratica, i paesi in via di sviluppo sono creditori netti dei paesi ricchi, esattamente il contrario di ciò che diamo per scontato abitualmente.

Quando consideriamo gli stanziamenti degli aiuti, oltre ai deflussi netti dovremmo tener conto anche delle politiche escogitate dai paesi ricchi per i paesi in via di sviluppo che comporta a quest’ultimi ulteriori perdite e costi.

Un esempio è lo sfruttamento che avviene attraverso gli scambi commerciali; in quanto i paesi ricchi, pur se il mercato è libero, hanno più potere contrattuale e quindi riescono a imporre la loro volontà. Dal momento che le multinazionali sono alla ricerca della manodopera e dei beni più economici, i paesi poveri sono costretti a gareggiare fra loro spingendo i costi verso il basso. Qui si viene a creare un divario enorme tra il “valore reale” del lavoro e dei beni che i paesi poveri vendono e i prezzi che essi ricevono per loro stessi. Ciò viene chiamato “scambio ineguale“.

I fondi destinati agli aiuti per lo sviluppo sono esigui, quasi ridicoli se confrontate con le perdite strutturali i flussi in uscita a danno de paesi del sud del mondo.

Anzi, alcuni di questi danni sono causati dagli stessi gruppi che gestiscono i cosidetti aiuti umanitari: come, la Banca Mondiale, che trae profitto dal debito del Sud del mondo e la fondazione Gates, che trae beneficio da un regime di proprietà intellettuale che blocca a sua volta l’accesso ai farmaci salvavita e tecnologie essenziali imponendo pagamenti spropositati per i brevetti.

Conclusione

Ovviamente tutto questo non vuole essere una critica agli aiuti umanitari, ma vuole essere d’aiuto alle persone che vogliono fare delle donazioni nello scegliere consapevolmente a chi donare e soprattutto chiedersi chi c’è dietro a una determinata realtà umanitaria.

Quello che abbiamo raccontato in questo articolo serve a capire che il discorso degli aiuti da parte delle grandi potenze occidentali non ci permette di cogliere il quadro più generale. Vengono occultati tutti quei meccanismi di queste stesse potenze che in realtà hanno creato la povertà e che continuano a impedire al Sud del mondo il cammino verso lo sviluppo. 

Il paradigma della beneficenza oscura le vere questioni in gioco: fa sembrare che l’Occidente stia “sviluppando” il sud del mondo, quando in realtà è il contrario. I paesi ricchi diventano sempre più ricchi in quanto sviluppati grazie alle ingenti somme di denaro e di prestazioni dei paesi poveri.

Il colonialismo e l’imperialismo non si sono sdebitati con noi quando hanno ritirato dai nostri territori le bandiere e la forza della polizia. La ricchezza dei paesi imperialisti è anche la nostra ricchezza. L’Europa è letteralmente la creazione del Terzo Mondo. Le ricchezze che la soffocano sono quelle che sono state rubate ai popoli sottosviluppati” (Frantz Fanon, filosofo della Martinica).

Come la storia dello sviluppo fu inventata da Truman per eliminare le colpe della miseria, così sono stati inventati aiuti umanitari per oscurare i processi che continuavano e continuano a impoverire volontariamente i paesi del Sud del mondo.

I Paesi poveri hanno sì bisogno del nostro aiuto ma questi aiuti potranno avere un vero effetto solo quando le grandi potenze occidentali smetteranno di sfruttarli e impoverirli.


Autrice: Greta Pigliacampo, tirocinante presso la nostra Associazione, studentessa di Antropologia all’Università di Bologna

FONTI:

LETTURE CONSIGLIATE:

  • “The Divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale” di Jason Hickel;
  • “I dannati della terra” di F. Fanon;
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